Recensione
L'autrice ha vinto con la poesia "Quattro del mattino" la prima edizione del Premio Nat Scammacca, Erice 2014, con la seguente motivazione:
L’autore di Quattro del mattino ha costruito un testo poetico potente per icasticità lirico-narrativa. Il campo delle sue contrazioni e dilatazioni semantiche è un intreccio poietico tale da risultare oggettivamente referenziale ed esteticamente lavorato nelle immagini e nel logos. Si impone un linguaggio della corporeità dolente, penetrante, che si apre allo scenario della memoria e dei pensieri di una donna, delle donne, su una scelta conflittuale e drammatica quale la decisione dell’aborto. È la dinamicità del ritmo e del telaio compositivo dialettico-associativo che contraddistingue la qualità poetica del testo poetico. L’insieme delle varie isotopie fonosignificanti, dei parallelismi e di registri linguistici d’uso del parlato, utilizzati come inserti di rottura e di critica, indicano anche il livello giudiziale cui il testo non si sottrae. Anzi! È il giudizio che siede tra gli eventi che macinano la coscienza dell’io poetico e che impone il confronto drammatico tra un ambiente anestetizzato e un’estesia umana sofferta ma in balìa della più amara indifferenza e sconcertante solitudine: “… Tutto sembra quasi fungere da anestetico…Tutto ok. Tutto finito. Qualcuno che mi avesse chiesto del mio bambino."
«Inversi» è la seconda raccolta poetica di Rachele De Prisco. La sua prima: «In mente accade». Ogni poesia contenuta in questa prima silloge è come un grappolo che ac-cade, senza un preavviso. Quasi un’inaspettata e imprevedibile vibrazione luminosa che prima si propaga come suono vocale/mentale, poi impressiona la lastra fotografica depositandovisi per poi essere ancora tra-dotta nelle forme della parola e dell’immagine. La poesia cioè come un evento testuale che nella cir-costanza si fa scrittura di una parola che cade; anzi una parola che ac-cade. Evento. E l’evento infatti non è mai pre-visto, solamente accade. E tuttavia, questo evento, chiede memoria e scrittura ancorata alla memoria. Lo chiede al soggetto come luogo dove lasciarsi custodire e, altresì, interagire come un altro soggetto: l’altro che chiede di essere accolto e legato con la tessitura della poiesis, il fare poesia non scisso dal proprio vissuto. Una tessitura che in «Inversi» “attorciglia” parole che ac-cadono “isolatamente” (parola di poesia de-cadente?) e sintagmi che conoscono il non rettilineo, un articolarsi “diagonale” (quasi un clinamen) elegiaco e dilatato, che è anche una geometria iconizzata della pagina (una costante in questa nuova produzione), come mostra la poesia «Nessuno mi ascolta il silenzio»: che a volte vorrebbe parlare, dire la sua. /…/ Bisognoso mendicante assetato sconcertato di fronte a tanto vuoto rumore di vita. Vorrei dargli vita /…/ morire suggellando come premio quel piccolo pezzo di vita vissuto come uno chiunque snobbato come fanno tutti reso eroico unico totale dal fatto che un giorno, quello che ti ha fatto rendere conto che tutta la banalità del tuo scorrere era quanto di più prezioso hai, hai dovuto perderlo con la morte scegliendo di restituire così alla banalità del tuo esistere tutta la sua immensità
«Inversi», quindi, rispetto alla prima “tentazione” (R. De Prisco, In mente accade), ha una struttura articolata più complessa: il suo ordine è del confine tra il “verso” e l’in-verso, cioè un passo dove “in”, ci sembra, in questo contesto, può essere anche un “non”. Il “non” che, se da un lato disattiva il verso, dall’altro pratica un discorso della poesia che procede insieme con tratti del narrare e della prosa. Ma non per questo però la funzione-prosa di questi tratti trasforma il testo in anti-poesia (solo per un richiamo a margine, Baudelaire già scriveva: “io faccio prosa dei miei versi”). ... [dalla prefazione di Antonino Contiliano] |