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Non chiedere luce al sole
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Copertina del libro Non chiedere luce al sole
Autore: Giovanni Rosa
Editore: Edizioni Arianna
Pagine: 96
Prezzo: 10,00
ISBN: 9788898351787
Luogo di pubblicazione: Geraci Siculo
Anno publicazione: 2015
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Recensione

Un piccolo manipolo di poesie, diviso in cinque sezioni, che esprime in tutta la sua profondità, il mondo familiare, affettivo, morale, religioso di Giovanni Rosa. C’è tutta la vita dell’Autore in esse, privata della scorza delle apparenze: una nudità cercata, voluta, ma che spesso emerge naturalmente, proprio come la sua personalità reale, trasparente, coinvolgente, sanguigna. Una raccolta poetica come un viaggio per esplorare dentro e fuori di sé.
Il dentro è dedicato alla Famiglia, ai nonni, agli amici, ai figli in particolare e ai nipotini, verso i quali si volge con struggente tenerezza. È il caso di Figlio al quale augura di trovare una strada, un futuro e pertanto lo invita a ‘non chiedere la luce / al sole’ (che poi è il verso che dà il titolo a tutta la raccolta), perché la luce e la strada nessuno gliela può – ricordando Kahlil Gibran – indicare: deve trovarla, ma dentro di sé. Per non parlare della struggente attesa per Valentina: ‘Rondinella mia / è già primavera / che aspetti a tornare?’ E in Ritratto: ‘Tengo sempre incorniciato nel mio cuore / il tuo ritratto di piccolo cucciolo / di donna…’.
Il fuori, invece, è profondamente variegato perché si tratta di un fuori naturalistico che diviene presto, sotto la spinta emotiva, un oltre per cantare la bellezza del creato e del suo Fattore, l’anima vivente delle cose, il rapporto tra l’uomo e la natura in una visione escatologica dell’uno e dell’altra. Qui Giovanni Rosa, che da pittore, da artista del colore, mentre prima con esso lasciava che le sue opere parlassero, negli ultimi anni, andando verso la parola, è riuscito con i suoi componimenti, a fare il viaggio a ritroso, cioè a dipingere con le parole. Sceglie animali, oggetti, spazi, elementi della natura per una sorta d’identificazione come in Farfalla: ‘D’un tratto s’impenna il vento / e turbina impetuoso / ma tu governi ancora / lieve ma sicura / sulla tue pur fragili ali / e non perdi di vista / la meta. / Io, invece, non resisto / … / Insegnami tu a volare… ‘.
O Istantanea, che come in un ‘impromptu’ schubertiano, sottolinea che‘La mia vita / è qui / indecisa / rotolata come un sasso / verso valle’. E sempre a proposito di sassi, in Pietraia il poeta attua un ‘transfert’ da metempsicosi quando canta: ‘Mi avvolgerò nel sudario / del silenzio... ‘ per consegnare alla terra ‘le spoglie della mia storia / d’uomo’.
Ma nel fuori-oltre ci sono anche gli uomini, le donne, i bambini con le loro traversate mediterranee su barconi fatiscenti, bare galleggianti, in cerca di una terra promessa, di una speranza e, spesso con le loro tragedie. Fatima è la poesia che più di ogni altra riesce a esprimere intimamente il pathos di questa tragedia/speranza.
A volte la poesia diventa dura, forte: coraggiosa denuncia dei nostri limiti, delle nostre incapacità o forse noluntas. Penso, in questo contesto, alla ballata per Giovanni e Paolo. Ma s’incontrano anche ritratti a tutto tondo (la ‘Muta’, Nino, Nina… ), figure di uomini e donne comuni, che – manzonianamente – sarebbero passati sulla terra senza lasciare traccia alcuna, e che qui, invece, divengono simbolo regale di rarefatta umanità.
Nella sezione dedicata alla Fede, Giovanni Rosa vive, rivive il dramma di ogni credente, d’ogni cristiano che sa di essere sempre in difetto rispetto alla promessa battesimale. Ma si lascia avvolgere dalla speranza di un Dio-Amore che sa accogliere fra le sue braccia chiunque ceda all’umiltà, al perdono. Le poesie di questa sezione sperimentano il linguaggio salmodiato, l’effetto risonante delle analogie evangelico-bibliche e ci restituiscono un agire all’insegna dell’esemplare ricerca di una fede mai matura, ma fortemente in crescita. Meravigliosi i versi, in Il cervo alla fonte: ‘Se camminassi per le tue vie… / Allora mi nutriresti con fiore di frumento / mi sazieresti con miele di roccia!’, dove le due analogie dicono del miracolo della fede che tutto può.
Giovanni Rosa canta anche la dimensione di una fede del focolare, semplice, familiare come in Presepe, dove esiste la consapevolezza del diverso tra l’ieri – l’infanzia – e l’oggi – la maturità: ‘tu non nasci più nella mia casa / non più povera / né v’abita più quel fanciullo / rapito dalla magia della stella cometa’. Per chiudere con un ‘Indicami la grotta della tua nuova Betlemme / ch’io possa portarti in dono / null’altro che le povere foglie gialle / del mio cuore’. Un’attenzione particolare il lettore potrà porla anche alle liriche della sezione Emozioni sparse, che, a insaputa dell’autore, raggiungono l’effetto opposto dello ‘spargere’, perché compattano il suo e il nostro sentire.
Il linguaggio di tutta la raccolta è semplice, estremamente familiare, di slancio, passato sulla carta, sul block notes degli appunti, così come si fa con il colore sulla tela di un’estemporanea di pittura. C’è in esso una freschezza colloquiale, ma anche il tentativo di passare dalla denotazione per trovare le parole giuste a indicare gli oggetti, le persone, i fatti, e la connotazione – le azzardate analogie, le reminiscenze bibliche – cioè il bisogno di creare come un alone, un tunnel, per passare metaforicamente e nascostamente dalla realtà alla sovra realtà, all’oltre realtà o meglio ancora alla intimità del poeta.
Non va tralasciato l’interesse del poeta per il vernacolo, il dialetto modicano o della Sicilia sud-rientale. Si tratta di quattro composizioni (di cui nella pagina a fronte si da la trasposizione in lingua italiana) che esprimono con forte intensità sentimenti d’amore, il dramma dei morti annegati nella traversata del Canale di Sicilia trovati sulla spiaggia di Sampieri, e forti emozioni di interiorità.
                                                                                                   Piergiorgio Barone

Data inserimento: Martedì 17 Novembre 2015 20:33