Recensione del critico letterario Antonio Pane sulla rivista Dialoghi Mediterranei, periodico bimestrale dell’Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo,
“I trentuno brevi capitoli … sono lasse di un cantare, retablos di un menestrello ambulante, quadri di un Mistero Buffo; la Storia che vi si ingrana trasfigura in sagra, in leggenda, lievita a proporzioni esorbitanti − con gesti fuor di misura e voci stentoree che rimandano all’epopea sgangherata dell’Opera dei Pupi −, concresce in volute orientali e barocche.
La Storia riguarda il conflitto fra giornalieri e baroni, le occupazioni di terre in Sicilia nel secondo dopoguerra, dramma sociale impersonato nei due quadri iniziali dal nobile possidente Giulio Trecase d’Alimina e dal contadino Ignazio Lanzafame, «il primo e l’ultimo, almeno sino a quel momento, a ricevere la terra della “riforma”».
Vestito di bianco dalla testa ai piedi e in groppa a un candido destriero (reduce forse dalla chestertoniana Ballad of the White Horse), l’uno è colto a covare, con la spocchia dell’assenteista, le sue disutili distese di «immacolato» sambuco; l’altro arranca con l’arto che gli rimane, brandendo la stampella «come una spada», verso il magro «campo dei papaveri», posto «a monte d’Alimina, su una scarpata pietrosa, Gòlgota dei giornalieri di quel tempo».
Il barone è circonfuso di bianco, così bianco da farlo sembrare un «corvo» (malauguroso volatile forse allusivo al risvolto reazionario del biancofiore di democristiana memoria); il villano di rosso, quello dei papaveri, del sangue dei giornalieri, e del suo credo politico… continua qui
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