È questa l’unica rimasta delle feste delle categorie (ceti) geracesi in onore del Santissimo Sacramento che si tenevano le terze domeniche dei mesi primaverili-estivi.
Cominciavano i galantomi a maggio, seguivano i mastri (artigiani) a giugno, quindi i vistiamari (pastori) a luglio, i vurdinari (commercianti) ad agosto e infine i viddrani (contadini) a settembre.
La terza duminica di vistiamari si celebra in due modi, uno annuale e l’altro settennale. Quello annuale prevede solo la Messa Cantata e una fiaccolata serale.
La Carvaccata invece si svolge ogni sette anni. Si tratta di una festa autofinanziata dalla categoria, come amano definirsi i pastori, che hanno finora sempre rinunziato a qualsiasi altro finanziamento pubblico o privato che non provenga da loro. Anticamente si istituì un fondo cassa alimentato anche dalle entrate provenienti dalla consegna a censo (affitto) a singoli pastori di alcuni animali ricevuti in dono, il cui rendimento era destinato al culto, e gestito dalla Deputazione (comitato) della festa. Oggi la raccolta continua a essere costituita dall’offerta di una munta di latti (mungitura di un giorno) o dell’equivalente in denaro.
La festa è preceduta da due vigilie. Il venerdì sera una fiaccolata per le vie del paese, e il sabato una solenne processione in onore del SS. Sacramento.
La domenica si comincia di mattina con la solenne celebrazione eucaristica e nel primo pomeriggio si svolge la sfilata a cavallo.
Ogni partecipante indossa l’abito tradizionale: «giacca e gilè di velluto oscuro, camicia bianca con cravattina di fettuccia nera snodata, pantaloni di velluto nero fino al ginocchio e gambali di orbace pure nero. Suggestiva inoltre la bardatura delle giumente: sella con staffe e finimenti ornati con nastri bianchi» (cfr. Don Isidoro Giaconia, op. cit.).
In testa un cappuccio di lana nera terminante con un ciuffo.
Ciascuno di essi porta in mano u chirchiu (cerchio), somigliante a una grande conocchia, rivestito di nastri e merletti bianchi, con appesi cavaddruzzi e palummedri di cascavaddru (cavallucci e colombine di caciocavallo).
I deputati, cioè i membri del Comitato, anziché i chirchi con il caciocavallo, portano ciascuno un paramento o un oggetto sacro, di quelli usati dal sacerdote, alcuni dei quali anch’essi riposti in maneggevoli fercoletti.
Apre la sfilata il trombettiere a cavallo, che annuncia con squilli di tromba il passaggio del corteo, a cui risponde la banda musicale posizionata in particolari posti del paese che prosegue sviluppandone i temi da lui accennati.
Segue subito dopo il deputato recante il vessillo della festa: la bandiera del Sacramento, bianca con la croce rossa. Concludono la sfilata i pastori più anziani che portano la pisside e il calice, e infine u cassieri (il Cassiere) con in mano l’ostensorio. Ogni cavalcante, avendo una delle due mani occupate, è accompagnato da un amico o parente che si occupa di tirari a rietina (tirare le redini).
I doni che portano i cavalieri, dopo un percorso che, partendo dall’abitazione del cassiere, attraversa le vie interne ed esterne al centro abitato, toccando la piazza di San Bartolo, il castello, il campo della Trinità, il convento dei Cappuccini, venivano un tempo consegnati all’arciprete in piazza del Popolo, a conclusione della recita delle poesie da parte dei bambini pastorelli. Per ragioni di sicurezza nelle ultime edizioni la cerimonia di chiusura si è svolta al campo della Trinità.
Giuseppe Antista – Pietro Attinasi – Bartola Neglia, Geraci Siculo Storia Arte Natura Tradizioni, Edizioni Arianna 2022, pagg. 157-162.
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