Presentano il suo libro Santa Franco e Arianna Attinasi.
Edizioni Arianna
Mercoledì 26 marzo 2025, h 18.00
Cefalù, Teatro “Cicero”
Via Spinuzza 115.
Interverranno:
Daniele Tumminello, Sindaco del Comune;
Santa Franco, Presidente Consiglio della Biblioteca Comunale;
Arianna Attinasi, Edizioni Arianna;
Gandolfo Librizzi, autore del libro.
(…) in India vi sono degli asharam (eremi) dove si va per studiare, meglio sarebbe dire meditare sui fatti essenziali della vita, sul sé. Shisha si chiama colui che lo frequenta (uno che merita di studiare). «Secondo la visione tradizionale indiana, la vita di un uomo è divisa in quattro stagioni precise e distinte, ognuna coi suoi frutti, i suoi diritti e i suoi doveri.
La prima stagione è quella dell’infanzia e dell’adolescenza, il tempo dello studio in cui uno impara tutto quello che gli servirà poi. La seconda stagione è quella della maturità in cui l’uomo diventa marito, padre, assume il proprio ruolo nella famiglia e con questo contribuisce al mantenimento e alla continuazione della società. Questo è il periodo in cui è giusto e lecito perseguire desideri come la ricchezza, il piacere, la fama e la conoscenza del mondo. Dopo di questo, quando i figli diventano a loro volta mariti e padri, viene la stagione del distacco, dell’andare nella foresta”. Con questo ritirarsi l’uomo si lascia dietro gioie, preoccupazioni, successi, delusioni – tutto ciò che è passeggero, che è illusorio nella vita – per dedicarsi a qualcosa di più reale, qualcosa di più permanente.
Ultima, se così si sceglie, viene la stagione in cui, or- mai slegato da tutto, diventato un semplice mendicante, l’uomo si fa sanyasin e, vestito del colore del fuoco nel quale ha simbolicamente bruciato tutto quello che era dell’Io temporale, compresi i desideri, cerca oramai solo moksha, la liberazione definitiva del samsara, il mondo dei mutamenti, l’oceano della vita e della morte.
Moksha è la destinazione finale del viaggio di un sanyasin. Niente più lo distrae da quella meta. Certo niente del suo passato, che viene simbolicamente dato alle fiamme in un “funerale” di cui lui stesso accende la pira per saltar- ci sopra e uscirne nuovo. Ora non è più legato a niente, assolutamente a niente: non alla sua casta, non alla sua famiglia, non al suo nome. Neppure alla religione e ai suoi riti. La tunica arancione con cui si copre dopo quel “funerale”, non a caso, è fatta di un unico pezzo di stoffa, senza cuciture e senza nodi. Quando morirà, il suo corpo verrà buttato in un fiume anziché essere cremato come tutti gli altri, perché lui, il sanasi, è già passato attraverso le fiamme.
Ogni passaggio dall’una all’altra stagione della vita è marcato formalmente da un rito nel corso del quale, come in ogni iniziazione, da una morte simbolica nasce la vita, dal vecchio nasce il nuovo.
A suo modo, anche la società occidentale moderna, perseguendo le sue mete – oramai tutte esclusivamente materiali – ha istituzionalizzato questo passaggio all’ultima stagione della vita: con la pensione. Dopo i sessanta o i sessantacinque anni uno smette di lavorare e viene pagato per andare a pescare, a dipingere o, molto più spesso, per annoiarsi nel rimpianto di non essere più quello che è stato […]. A tanti capita così di essere vittime di un infarto e di smettere definitivamente di essere qualsiasi cosa»7.
Così è venuta affermandosi l’idea di rivedere in forma più ordinata questo quaderno di appunti sparsi di pensieri venuti fuori via via senza pretesa alcuna, per intima necessità interiore tra un vagare (e divagare) da flâneur intorno al mondo e intorno al sé (pensieri e riflessioni aggregati e selezionati intorno ad alcune divagazioni principali fra i tanti lasciati lì a animare altre pagine intonse: l’esistenza, il tempo, la morte, la vita, i paesaggi di altre culture, il viaggio, il cammino, anche la politica e il potere, infine, una certa idea e esperienza del sacro o, detto diversamente, dello spirituale di cui comunque siamo implicati e si avverte il richiamo). Pensieri segnati e meditati per dare espressione alla voce interiore come un ristoro catartico di una sosta in un’oasi in mezzo al deserto nel mentre si procedeva e ci si districava in un mare in tem- pesta affaccendato in diverse altre, a volte, impegnative più immediate attività. Un quaderno di appunti sparsi, dicevo, per comunicare l’idea, la sola che possa avere una qualche importanza e un certo valore di per sé: che la vita si fa vivendo e non deve sciuparsene l’occasione di viverla fino in fondo laddove essa davvero eternamente vive, cioè in ogni suo irripetibile attimo, perché, se è pur vero che si morirà (il memento mori di ognuno è lì che ci attende), tuttavia è certo che intanto si sta vivendo, che questo vivere che avviene ora, in questo tuo istante, laddove si materializza e si compie la pienezza del tempo di ciascuno, è ben più importante e meraviglioso, ben più misterioso e luminoso se solo si pensasse che poteva non accadere o che, d’un tratto, potrebbe non essere più. Il senso inevitabile della morte deve diventare il senso profondo della vita. E dunque, se bisogna ricordarsi sempre che devi pur morire, più importante, semmai, è l’imperativo categorico di ricordarsi sempre che devi soprattutto vivere.
pp. 13-16
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