Vincenzo Muscarella, Maruzza. Elogio dell’essere femminile, parola di Francesco Tornatore
<< L’elogio dell’essere femminile è il senso di Maruzza. L’apologia della donna è l’anima di tutto quello che Muscarella ha scritto e si accinge a scrivere. Quantomai importante in un’epoca dell’Occidente che fa assistere al divulgarsi di “sessismo”, “femminicidio” e altre ripugnanti nefandezze. Alle intollerabili qualità e quantità di violenza riservate alle donne, la risposta è in quest’opera. Essa contiene l’unica cosa giusta che ci sia dato di fare verso l’altro “mezzocielo”: ammirarle e inchinarsi con rispetto. La rivelazione. >>.
Francesco Tornatore
Con queste parole, tratte dalla presentazione del libro (vedi qui), Francesco Tornatore testimonia la grandezza di Vincenzo Muscarella, al suo secondo romanzo: Maruzza, da oggi disponibile presso tutte le librerie (vedi qui) oltre che nel negozio digitale (qui).
Maruzza perde la figlia Yosie nell’incendio della fabbrica tessile Triangl Waist Company di New York il 25 marzo 1911.
Maruzza Cappone, madre siciliana ribelle, aveva raggiunto da poco il marito in America con i suoi quattro figli, condannandosi anche lei all’emigrazione.
A gestire il traffico delle partenze dal suo paese del palermitano per la Merica era un delinquente locale, legato alla mafia: Don Antria che:
<< … colse al volo la nuova e più propizia occasione per fare soldi, alimentata dal malcontento.
Sfruttò l’analfabetismo e la totale buonafede dei poveri disgraziati, desiderosi comunque di andare via. Si inventò fogli di permessi e biglietti completamente falsi. Per le partenze vere, si avvalse della complicità interessata degli ambienti portuali controllati dai soliti noti, degli stessi dirigenti di talune società marittime e persino di qualche comandante senza scrupoli di mercantili diretti verso porti americani.
Si inserì in un ben avviato canale di imbarchi clandestini. Quasi sempre, per garantirne la partenza, era lo stesso Cascio ad accompagnare i partenti al porto della capitale, affidarli ai marittimi corrotti a cui consegnava la busta del compenso pattuito, assistere al loro imbarco, di solito notturno, dai portelloni delle stive, confusi tra le merci in transito.
Una volta dentro la pancia della nave, non ne sarebbero più usciti se non all’arrivo, sempre se fossero riusciti a sopravvivere alla traversata.
Tra alti e bassi, confusa tra le partenze legali, la tratta degli esseri umani clandestini continuò indisturbata per parecchi anni. I galantuomini e il curato del paese facevano finta di niente, le autorità tolleravano, convinti com’erano che quel flusso continuo di gente in uscita contribuisse a raffreddare il clima di ribellione che si sentiva scaldarsi attorno.
Anche le coppole storte non si intromettevano; a loro bastava che il daziere, ogni quando necessitava, si adoperasse a far imbarcare qualcuno dei loro che si trovasse in cattive acque con la giustizia o, peggio, con qualche cosca avversa.
La posizione sociale, economica e il prestigio di Don Antrìa Cascio crebbero giorno dopo giorno e dopo più di vent’anni di attività, con tanti paesani visti partire, per i suoi rapporti con i gruppi che si erano consolidati oltre oceano e con i quali continuava a mantenere i contatti – anche per posta – era diventato il punto di riferimento certo di quanti partivano per la Merica e principalmente per Nova Yorka.
Per tutti c’era un consiglio o un biglietto da recapitare, per tutti c’era un indirizzo a cui bussare, né scordava di segnalare agli amici miricani qualche picciotto di provato affidamento.>> (pagg. 195-196)
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